RECENSIONE | American Gods di Neil Gaiman

Rullino i tamburi e squillino le trombe!

Ho terminato American Gods. Fatico ancora a crederci. Dopo anni di procrastinazioni dovute ad allineamenti planetari sfavorevoli, blocchi da lettore vari ed eventuali e qualsivoglia altra motivazione, finalmente è giunto il Grande Giorno.

Ciancio alle bande, vi lascio alla recensione del libro che mi ha distrutto un mito letterario.



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TitoloAmerican Gods
Autore: Neil Gaiman
Editore: Oscar Mondadori
Anno edizione: 2009
Pagine224 p.
FormatoBrossura/rilegato
Prezzo di copertina:  10,50 €

Trama: Appena uscito dopo tre anni in carcere, Shadow fa conoscenza con un enigmatico Mr Wednesday che gli offre di lavorare per lui. Rimasto senza risorse né famiglia, Shadow finisce per accettare. Ma ci metterà ancora qualche tempo per capire chi sia davvero il suo boss: Odino, la somma divinità del pantheon nordico, arrivato in America con una nave di vichinghi e che ora tira a campare come può. Come lo slavo Chernobog, ridotto a vivere della pensione maturata negli anni di lavoro al macello di Chicago, come l'africano Anansi, come la celtica Easter e la mediterranea Bilquis che batte i marciapiedi di Hollywood, come tutte le divinità maggiori o minori, dimenticate in un mondo che venera altri dèi, più belli e nuovi. È per muovere battaglia contro di loro che Wednesday ha arruolato Shadow, e per reclutare i compagni di lotta i due si metteranno on the road attraversando in lungo e in largo l'America più profonda. Fino al giorno della battaglia finale, uno scontro di proporzioni epiche per conquistare l'anima stessa dell'America...



«[...] Sta’ a sentire, gli dèi muoiono quando vengono dimenticati. Anche la gente. Però la terra rimane: i posti buoni e quelli cattivi. La terra non va da nessuna parte.»

Come credo avrete ormai capito, sono un grande estimatore di Neil Gaiman. Lo premetto perché con estremo rammarico mi vedo costretto a bocciare questo libro.

«Questo è l’unico paese al mondo che si domanda chi è» disse Wednesday. «In che senso?» «Tutti gli altri sanno chi sono. Nessuno ha bisogno di andare a cercare il cuore della Norvegia. O l’anima del Mozambico. Sanno chi sono.»


Questo libro mi ha distrutto, nel senso più negativo del termine. Mi ha devastato un mito letterario che fino a prima di leggere questo romanzo amavo. Mi aspettavo tanto, forse troppo, considerando l'autore che l'ha scritto... e sicuramente complice anche il riscontro positivo di persone che lo idolatravano. Ma a me non è piaciuto. A me - e lo dico con tutto l'amore che provo per quest'autore - ha annoiato. L'ho trovato poco scorrevole, spesso sconclusionato e prolisso, e poco coinvolgente.

"Nella dimora fumosa quella notte il bardo cantò le canzoni antiche. Cantò di Odino, Padre Universale, che si era sacrificato a se stesso con il coraggio e la nobiltà con cui gli altri venivano sacrificati a lui. Cantò dei nove giorni che il Padre Universale trascorse appeso all'albero del mondo, il sangue grondante dalla ferita nel fianco provocata dalla punta della lancia, e cantò per loro tutto ciò che il Padre Universale aveva imparato durante l’agonia: nove nomi, nove rune, e incantesimi per due volte nove. Quando narrò della lancia che ferì Odino nel fianco, il bardo gridò di dolore insieme a lui e gli uomini tutti rabbrividirono, nell'immaginare la sua pena."

Senza dubbio la struttura narrativa è magistrale, su questo nulla da dire, ma a livello contenutistico è secondo me povero. Gli elementi simbolici, le riflessioni sulla vita, la religione e la trama sono costruiti benissimo, si vede che sono nati dalla penna di Gaiman. Ma la storia procede troppo, troppo lenta. Gaiman si perde in dettagli futili e non poi così rilevanti per lo sviluppo narrativo. I colpi di scena - se così possiamo definirli - sono quasi banali, tanto che, alla fine, quando viene svelata una notizia che dovrebbe sorprenderci, ci troviamo con l'amaro in bocca, perché quella che doveva essere la "rivelazione" risulta invece scontata e prevedibile. Io l'avevo capito prima di metà libro, per farvi capire, e io non sono un amante dei gialli o possiedo un intuito così raffinato come Sherlock Holmes...

«Adesso, come avete avuto modo di scoprire da soli, in America stanno nascendo nuovi dèi che crescono sopra nodi di fede: gli dèi delle carte di credito e delle autostrade, di Internet e del telefono, della radio e dell’ospedale e della televisione, dèi fatti di plastica, di suonerie e di neon. Dèi pieni di orgoglio, creature grasse e sciocche, tronfie perché si sentono nuove e importanti.»

Lo stile di Gaiman è impeccabile, su questo nulla da dire, ma ci sono stati punti in cui dovevo concentrare tutte le mie forze per capire cosa stessi leggendo, e a volte dovevo rileggere più di una volta.
Non tutto viene spiegato, questo è tipico di Gaiman, ma in questo caso secondo me ne ha abusato: se non si hanno delle basi abbastanza buone di mitologia non si colgono alcuni elementi importanti della storia, e questo spesso è frustrante, perché non ti coinvolge appieno nella lettura. Rende faticoso immedesimarsi.

"Era raro che nelle piantagioni di zucchero di Saint-Domingue gli schiavi vivessero più di dieci anni. Il tempo libero di cui disponevano – due ore nella calura del mezzogiorno e cinque nel buio della notte era l’unico in cui potevano dedicarsi alla coltivazione di qualcosa per nutrirsi – [...] ed erano anche le uniche ore in cui potevano dormire e sognare. Ciò nonostante trovavano il tempo per riunirsi e danzare, per cantare e adorare i loro dèi."

Il protagonista, Shadow, l'ho trovato un personaggio scarno, piatto, con una personalità intrigante quanto quella di un opossum che si finge morto. I personaggi secondari sono quasi tutti abbastanza ben caratterizzati, e con una personalità certamente più ricca di quella di Shadow, sebbene compaiano raramente nel libro.
Mi sono piaciuti di più alcuni personaggi protagonisti delle storie intercalari del romanzo. Scelta che ho molto apprezzato poiché, pur non inserendosi nella trama principale del romanzo, queste storie danno un qualcosa in più al testo. Aiutano a immergersi in luoghi differenti per cultura, longitudine e tempo. Alcune di queste le ho amate e apprezzate molto più della storia principale: quelle legate ad Anansi, per esempio, personaggio che ho amato; quella di Ifrit e, ovviamente, quella legata al leprechaun irlandese Mad Sweeney, un altro personaggio affascinante

«[...] Però chiese non ne abbiamo mai costruite. Non ne abbiamo bisogno. La terra era la nostra chiesa. La terra era la religione. La terra era più antica e più saggia degli uomini che la calpestavano. Ci dava salmone e granturco e bufali e colombe migratrici. Ci dava il riso d’acqua e le felci. Ci dava i meloni, le zucche e i tacchini. E noi eravamo i figli della terra, proprio come il porcospino, la puzzola e la ghiandaia azzurra.»

C'è un'espressione che mi è venuta in mente quando ho terminato questo romanzo: "tutto fumo e niente arrosto". Perché in questo romanzo Gaiman promette tanto, troppo, e alla fine, quando finalmente arrivi al momento tanto atteso, che in tutta la durata dell'eterno romanzo ti viene fatto assaporare, venir voglia di vedere, sapere e finalmente partecipare all'epica battaglia che vedrà protagonisti i Nuovi e i Vecchi dèi... rimani con un pugno di mosche. Non vi voglio svelare nulla, ovviamente, ma a me il finale ha deluso più di tutto il libro. Un finale banale e piatto che ti fa dire: "beh? Tutto qui?" Tutta questa preparazione, suspense, mistero, paura e irrequietezza per arrivare a questo? Io non ci volevo credere. Eppure così è stato. Non era un brutto sogno.

Insomma, anni di attesa per arrivare a questo punto. Avrei dovuto ascoltare il mio sesto senso da lettore e lasciarlo abbandonato tutte le volte che non riuscivo a finirlo. Ma mi sono sempre sentito in colpa per non averlo finito, e ormai era diventata quasi una sfida con me stesso: dovevo finirlo. A questo punto, però, vorrei proprio non averlo fatto. Mi ha fatto ricredere in Gaiman... ma dopotutto, nessuno è perfetto no?

   VOTO: 


A presto, Viandanti.


1 Commenti

  1. […] è stato un mese proficuo dal punto di vista dei libri. Sono riuscito a finire American Gods dopo anni di procrastinazione, ad esempio, e ho letto più di quanto mi fossi prefissato a inizio […]

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