Autunno | Capitolo 5


Mabon. Quel nome continuava a ronzarmi in testa, era un pensiero fisso. Ma decisi di non dargli importanza, e di concentrarmi sul lavoro.
Ero solita arrivare in negozio in largo anticipo rispetto l’orario di apertura. Amavo quel negozio, stare lì mi rendeva felice. In mezzo alle mie erbe, ai loro profumi e ai loro colori mi sentivo a casa.
Spesso entravano clienti che, ingannati dal nome del negozio, mi domandavano quale erba potesse attrarre l’uomo o la donna che desideravano, quale potesse attrarre denaro, fortuna... Non mi sorprendeva. Dopotutto, qui a New Orleans, sopratutto in questo quartiere, i negozi dell’occulto sono molto comuni. La mia risposta è però sempre la stessa, e cioè che la mia era una semplice erboristeria e che vendevo rimedi fitoterapici. A volte le persone se ne andavano con aria delusa, ma non mi importava. Quei negozi vendevano solo articoli pacchiani e illusioni alle persone ingenue. La magia è solo una nicchia immaginaria che protegge le persone sciocche dai mali del mondo reale. Troppo deboli per affrontare la realtà, si rifugiano in quella che chiamano “magia”. Quando ero piccola, mia nonna diceva sempre che la magia è dappertutto, basta solo saper guardare con gli occhi giusti, spogliati dalla razionalità e aperti alla bellezza. E da piccola ci credevo. Ci credevo sul serio. Crescendo, però, questa concezione venne sempre meno,  soprattutto dopo la morte dei miei genitori.
Era una mattina tiepida, una di quelle tipiche delle stagioni di mezzo. Non troppo calda per essere estiva, ma non troppo fredda da potersi considerare invernale.
Guardai in alto. L’insegna del negozio era di legno dipinto di un bianco anticato, contornata da una cornice verde bosco. Lo stesso colore con cui erano dipinte le lettere del nome, scritte in uno stile corsivo ed elegante. Dalla vetrina sulla strada si poteva vedere l’intero interno del negozio. Sul piccolo bancone di legno era posto un vecchio registratore di cassa vintage, anch'esso in legno scuro e ottone. Dietro il bancone, posti sulle mensole di legno a muro, file di barattoli di vetro occupavano l’intera parete come fossero un quadro. I colori vivaci delle erbe al loro interno erano spenti dall'essicazione, ma restava comunque uno spettacolo bellissimo da vedere.
Oltre al registratore, sul bancone si trovava un’aloe vera in vaso e alcuni erbari antichi aperti da consultare. Sul soffitto, appese alle travi di legno scoperte, file di mazzi di lavanda e rosmarino regalavano un profumo aromatico e caratteristico.
Entrai nel negozio, la campanella d’ottone appesa alla porta schioccò rompendo l’intimo silenzio. Fui subito assalita dall'odore di legno umido, erbe fresche e sottobosco. Nonna.
Quando lo progettai, volli dargli un’atmosfera calda e accogliente. Volevo che le persone, entrando, trovassero un rifugio al caos frenetico della città. Come se fosse un posto isolato da tutto il resto del mondo. La stessa sensazione che provavo io quando stavo da Nonna.

Stavo sistemando alcuni barattoli di erbe sulla mensola, quando sentì la porta aprirsi.
– Buongiorno – annunciò una voce alle mie spalle.
Ebbi un sussulto.
– Buongiorno – risposi. – Scusi, mi ha spaventato. Non aspettavo clienti, siamo ancora chiusi –. Dalla faccia che la signora fece, dedussi che la mia espressione sembrò più spaventata di quanto credessi.
– Oh, mi scusi, non volevo spaventarla. Il cartello sulla porta riportava APERTO – si giustificò.
Avvertì una nota di compiacimento nella sua voce.
Era vero. Mi ero dimenticata di girarlo, la sera precedente. Che idiota.
– Ha ragione, mi scusi. Ieri sera devo essermi dimenticata di voltarlo – ammisi imbarazzata. – Ma non si preoccupi, mi dica se posso esserle d’aiuto in qualcosa... – continuai, cercando di rimediare al mio errore.
– In effetti, qualcosa ci sarebbe... – affermò, il sorriso amaro.
Era una donna di bell'aspetto, di un’età indefinibile, ma comunque molto più vecchia di me. Indossava un cappotto verde bosco, lungo fino sopra le caviglie. Le scarpe bianche firmate, di vernice, facevano pendant con la borsa  –  anch'essa molto costosa, ebbi modo di notare. Il viso affilato e i capelli argentei, raccolti in un elegante cappello anch'esso dello stesso colore del cappotto, le donavano eleganza e raffinatezza. Tuttavia, c’era qualcosa in quella donna che mi metteva a disagio... Cosa ci faceva una donna così ricca in un negozio come il mio?
– Sto cercando tua nonna, Amelia – annunciò poco dopo. Gli occhi grigi e penetranti mi misero a disagio. Come diavolo faceva a conoscere il mio nome? Chi era quella donna? E cosa voleva da mia nonna? Cercai di nascondere il mio stupore e di mantenere un aspetto professionale.
– Mi scusi, ci conosciamo? Non credo di averla mai vista prima d’ora... – confessai.
– In effetti no, non abbiamo mai avuto il piacere di conoscerci di persona, Amelia – constatò, il sorriso maligno stampato sempre più nitidamente sul viso. – Ma ti conosco sin da quando eri una bambina. Io e tua nonna siamo amiche di vecchia data. Beh, non così vecchia... Dopotutto, sono ancora una donna giovane – continuò, scoppiando in una risata amara. Finsi un sorriso.
– Mia nonna non mi ha mai accennato di lei, però, signora...? – la imboccai, curiosa di sapere il suo nome.
– Oh, che sbadata! Sono proprio maleducata – si scusò. – Il mio nome è Camille Dupont – concluse con eleganza. Dupont... Dove avevo già sentito quel nome? Ma certo! Dupont! Una nobile famiglia che possedeva una delle più grandi piantagioni di cotone qui a New Orleans nel diciottesimo secolo.
– Mi dispiace, non ricordo di averla mai sentita prima... – ammisi, anche se non era vero. Sapevo benissimo chi era. Nel Quartiere la conoscevano tutti. La sua era una delle famiglie più antiche e influenti del Quartiere francese. Abitava in un’enorme casa coloniale di inizio Settecento, ereditata dalla sua famiglia da generazioni. Possedeva un’azienda di tessuti pregiati che l’aveva resa ricchissima. Non si sposò mai e non ebbe figli.
– Un vero peccato. Tua nonna deve aver tralasciato molte cose, se non ti ha parlato di me... – insinuò.
– Beh, purtroppo credo proprio di non poterla aiutare. Se vuole parlare con mia nonna, dovrebbe rivolgersi direttamente a lei – dichiarai. Un brivido mi percorse la schiena.
– Sì, credo che lo farò – rispose, un sorriso sardonico. – È stato un vero piacere conoscerti, Amelia – continuò, dirigendosi verso la porta.
– Qualcosa mi dice che ci rivedremo presto, cara –  annunciò con il suo solito sorriso, prima di lasciare il negozio. Un altro brivido.
La giornata passò decisamente in fretta e decisi di chiudere presto. Presi in considerazione l’idea di prendermi qualche giorno di riposo, ne avevo bisogno. E dovevo andare a trovare Nonna.
Perché Hannah mi attirava così tanto? Il suo pentacolo, lo stesso inciso sulla copertina del libro di ricette di mia nonna... C’era un nesso, oppure era una semplice coincidenza? Cosa aveva a che fare Camille con mia nonna? E perché avevo avvertito quella sensazione di disagio al negozio?
Le domande mi aggredivano la mente mentre guidavo verso la casa di Nonna. Avevo bisogno di sapere.

2 Commenti

  1. Ma come Amelia, ti butti sul lavoro e smetti di pensare a Mabon? No!
    Davvero bella l'erboristeria, non mi dispiacerebbe entrarci e passarci qualche ora, sembra davvero accogliente.
    Nonna che dice che la magia è ovunque, bellissimo. La magia... Scusa, lo so che non hai ancora deciso il genere del racconto, è che tendo a trasformare tutto in un fantasy.
    Comunque questo nuovo personaggio, Camille, è interessante e quando ha detto di essere un'amica di Nonna ho pensato che invece intendesse il contrario, sembra essere un'acerrima nemica da come si comporta, ma perché è così interessata ad Amelia?
    Anch'io ho tante domande a cui ho bisogno di avere una risposta.

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    1. Non fai male a pensarlo, dopotutto la magia è un elemento caratterizzante del racconto... :)

      Avrai presto tutte le risposte. ❤

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